Tutti gli articoli di Rosario Carello

Sono nato a Catanzaro nel 1973 e sono giornalista professionista. Dal 2008 sono autore e conduttore di A Sua Immagine su RAI1. Nel 2009 ho fondato A Sua Immagine giornale, la versione cartacea del programma, con i commenti al Vangelo del giorno scritti dai vescovi italiani. Dal 2011 scrivo una rubrica settimanale su Famiglia Cristiana. Faccio questo lavoro (in varie forme) da quando avevo 17 anni. Prima di RAI1 ho fatto parte della redazione giornalistica di TV2000, lavorando al TG, ai programmi culturali, ai servizi religiosi e conducendo per un anno il talk quotidiano Formato Famiglia. Per oltre dieci anni sono stato autore e conduttore radiofonico, ho scritto editoriali per Avvenire, diretto per l’AVE un dvd-reportage sull’Azione Cattolica in Italia e collaborato con numerose riviste. Miei testi sono usciti per la Carello Editore e un saggio “La cronaca e altri racconti” è stato pubblicato nel 2008 dalla San Paolo. Dal 2008 curo www. rosariocarello.it, un sito di idee, di discussione, di documenti, a volte di polemiche.

IL LIBRO IN FRANCESE

Il mio libro, “I racconti di Papa Francesco”, sta sbarcando fuori Italia.

A fine maggio 2014 è uscito in Belgio, subito dopo in Francia e in tutti i Paesi francofoni. L’editore è Fidélité, belga. Qui il sito.

Il titolo in francese è diventato “80 fioretti du pape François”.

Qui puoi sfogliare le prime pagine del libro.

La copertina francese de "I racconti di Papa Francesco"
La copertina francese de “I racconti di Papa Francesco”

 

NESSUNO E’ UN DIRITTO

Finora nessuno era un diritto per nessuno.

Cosa diremmo se qualcuno scrivesse che le donne sono un diritto per gli uomini o gli uomini un diritto per le donne? Risponderemmo che siamo liberi, e nessuno ha diritti su nessuno.

Semmai avevamo imparato che sono i bambini ad avere diritto ai genitori, perché soggetto debole, da accompagnare. Attenzione: i bambini hanno un diritto, non sono il diritto.

Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale non sono una conquista.

E la paternità e la maternità per (sedicente) diritto è un capriccio ottenuto con la forza, senza un democratico processo legislativo.

RIO CONTRO RAI

La Rai veste il Cristo di Rio de Janeiro con la cosa più preziosa che abbiamo (la maglietta della Nazionale) e la diocesi di Rio s’offende. Rio contro Rai.

Uno scherzo? No, una bruttissima storia, nella quale la diocesi dice: “Sì, lo spot della TV italiana è offensivo ma in cambio di 7 milioni di euro, l’offesa si sana“. Lo dico da cattolico: questo monetizzare, a nome di Gesù, il lavaggio dell’offesa è quanto di più offensivo questa vicenda ci offra.

Ma cosa ci fanno un vescovo, una diocesi, impelagati in questo mercanteggiamento, “7 milioni sì e la chiudiamo qui, 6 milioni no, è troppo poco”? Questo è il triste terreno degli avvocati, ci campano solo loro in queste vicende, li lasci stare il vescovo, corra via e faccia il vescovo, cioè guardi dall’alto di quella meravigliosa statua del Cristo non solo la sua bellissima città ma osservi tutto il mondo, che guarda – questo è il miracolo – a quel Cristo come un simbolo universale delle cose migliori. La Rai non ha venduto un prodotto (e non ha incassato un centesimo da quello spot), ha solo contestualizzato un evento mondiale e lo ha fatto, in barba ad ogni secolarizzazione, con l’immagine più bella di Rio, che è Gesù.

Ma cosa vuole la diocesi di Rio? Confinare Gesù nelle processioni? Nei riti? Chiuderlo nelle chiese? O lasciare alle Oba Oba e al carnevale il ritratto della città?

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PROCESSO AI GIORNALI

Parlo da lettore e non da giornalista. Ma com’è possibile che il “sindaco più amato d’Italia”, come chiamavano il primo cittadino di Pavia, Alessandro Cattaneo, perda al ballottaggio?

O è davvero il più amato (e allora vince), o non è il più amato e allora tutto è possibile, anche che perda. Ma che credibilità hanno certe formule, certe inchieste, in quel caso era il serissimo Sole 24 Ore, certi modi di dire tanto amati dalla mia categoria?

E così se dopo il primo turno furono messi in discussione i sondaggi, ora dovremmo fare lo stesso processo alle trite formule giornalistiche e ai loro autori.