Tutti gli articoli di Rosario Carello

Sono nato a Catanzaro nel 1973 e sono giornalista professionista. Dal 2008 sono autore e conduttore di A Sua Immagine su RAI1. Nel 2009 ho fondato A Sua Immagine giornale, la versione cartacea del programma, con i commenti al Vangelo del giorno scritti dai vescovi italiani. Dal 2011 scrivo una rubrica settimanale su Famiglia Cristiana. Faccio questo lavoro (in varie forme) da quando avevo 17 anni. Prima di RAI1 ho fatto parte della redazione giornalistica di TV2000, lavorando al TG, ai programmi culturali, ai servizi religiosi e conducendo per un anno il talk quotidiano Formato Famiglia. Per oltre dieci anni sono stato autore e conduttore radiofonico, ho scritto editoriali per Avvenire, diretto per l’AVE un dvd-reportage sull’Azione Cattolica in Italia e collaborato con numerose riviste. Miei testi sono usciti per la Carello Editore e un saggio “La cronaca e altri racconti” è stato pubblicato nel 2008 dalla San Paolo. Dal 2008 curo www. rosariocarello.it, un sito di idee, di discussione, di documenti, a volte di polemiche.

Mentana: “Formigli (o Santoro), fatti piu’ in la’”

A mezzo Facebook Enrico Mentana tira un bella bomba alle star del giovedì sera, Santoro e Formigli. E con una mossa inconsueta offre un consiglio non richiesto. In poche parole: uno dei due si sposti.

Ma andiamo con ordine. Partiti tutti e due benissimo nelle loro prime puntate, per papà Santoro e per il discepolo Formigli, giovedì scorso è stata una bruttissima serata. A fatica Formigli è arrivato al milione (1.030.000 ascoltatori, share del 4.69%) e a fatica Santoro ha tenuto i 2 milioni (2.012.000 telespettatori, con share dell’8.08%).

Per Mentana è colpa del nuovo clima politico, meno teso alla contrapposizione. Può essere, ma se fosse così non si spiegherebbe il super Ballarò di martedì scorso. In ogni caso ha certamente influito un tema grave ma non semplice sia per Santoro che per Formigli, e cioè il caso Enav.

IL CONSIGLIO DI MENTANA

Comunque il consiglio di Mentana è questo:  «il beau geste». Scrive: «Hanno lo stesso pubblico, se uno dei due si sposta fa un favore a se stesso e all’amico-concorrente. E soprattutto ai telespettatori…».

Fatti più in là, dunque. Lo ascolterà qualcuno? Lo ascolterà Formigli, sulla sua stessa rete, La 7, dove pure Mentana esercita una certa influenza se non proprio una moral suasion? O lo ascolterà Santoro che però al giovedì è legato fin dai tempi di Samarcanda?

Rosario Carello

Padre Ronchi, commento al Vangelo 27 novembre

Da Avvenire: Avvento, tempo dell’attenzione

I domenica d’Avvento Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Entriamo nel tempo della speranza. Avvento vuol dire letteralmente avvicinarsi, venire vicino.

Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini d’incontro. Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; assunzione di una responsabilità enorme, da parte dell’uomo. Come custodire i beni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteggiamenti iniziali: fate attenzione e vegliate.

Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ed essere con la testa da tutt’altra parte, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non averlo guardato. Gesti senz’anima, parole senza cuore. Vivere con attenzione è l’altro nome dell’Avvento e di ogni vita vera. Ma attenti a che cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. Quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi, ricchezza di intelligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere. Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all’acqua, all’aria, alle piante.

Attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato. Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l’ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliate perché c’è un futuro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non come piccolo seme. Vegliate perché c’è una prospettiva, una direzione, un approdo. Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell’alba, perché la notte che preme intorno non è l’ultima parola, perché il presente non basta a nessuno.

Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sui germogli della luce. Attesa, attenzione, vigilanza sono i termini tipici del vocabolario dell’Avvento e indicano che tutta la vita dell’uomo è tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il segreto della nostra vita è oltre noi. Allora è sempre tempo d’Avvento, sempre tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tempo di adottare strategie di risveglio della mente e del cuore, in modo da non arrendersi al preteso primato del male e della notte, in modo da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.

(Letture: Isaia 63, 16-17.19; 64, 2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1, 3-9; Marco 13, 33-37)

Uomini delle istituzioni, finalmente

Quello che sarà ora col Governo Monti, lo vedremo. Le aspettative sono tante e l’anagramma del suo nome “rimontiamo“, è parso di provvidenziale buon auspicio.

Ma c’è una cosa per cui possiamo e dobbiamo già essere sereni e orgogliosi: gli attori principali di questi giorni, Giorgio Napolitano e Mario Monti, ci restituiscono finalmente l’immagine reale di veri uomini delle istituzioni.

La serietà, il rigore, il senso dello Stato non sono grigiore, come ripete Giuliano Ferrara, che se vuole divertirsi basta che vada a teatro. Non abbiamo bisogno di un leader che ci faccia ridere, estroso e battutaro, ma di una persona perbene che sappia cosa vuol dire rappresentare le istituzioni, lavorando al loro servizio e quindi al nostro.

Certo, i leader li dobbiamo scegliere noi, col voto e senza pressioni dall’estero, ma nell’emergenza, affidarsi a Napolitano & Monti, mi fa dire: forse ci è andata bene, finalmente.

Rosario Carello

La domenica di Padre Ronchi

IL PIU’ GRANDE E’ CHI AMA DI PIU’

Da Avvenire, il commento di padre Ermes Ronchi al Vangelo di domenica 30 ottobre

XXXII domenica tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno (…) Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste (…) Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

 

Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: l’amore per il potere. Praticate ciò che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bensì contro l’ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso, come il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l’argilla, ma la rimette sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto.

Gesù non sopporta gli ipocriti. Ipocrita (termine greco che significa “attore di teatro”) è il moralista che invoca leggi sempre più dure, ma per gli altri (legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito); ipocrita è l’uomo di Chiesa che più si mostra severo e duro con gli altri, più si sente giusto, vicino a Dio (mentre è vicino solo alla propria aggressività o invidia verso i fratelli). Paolo oggi dice: «Avrei voluto darvi la mia vita». L’ipocrita dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». L’ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica. Gesù poi stigmatizza un secondo errore che rovina la vita: l’amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. E già questo è un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa.

Ma a Gesù questo non basta, e opera un ulteriore capovolgimento: il più grande tra voi è colui che serve. Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d’amore e non di ricchezza per fiorire. E allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o nelle foreste d’Africa, o uno di voi che legge, o colui o colei che vi è vicino. Gesù rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole e all’aria e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siete grandi quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Gesù, traducendo l’amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere servito. È l’assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò, perché Lui si è fatto mio servitore. Servizio: nome nuovo, nome segreto della civiltà.

(Letture: Malachia 1, 14-2, 2.8-10; Salmo 130; 1 Tessalonicesi 2, 7-9.13; Matteo 23, 1-12)

Joseph Ratzinger, forte e sorprendente

Questo mio articolo è uscito su SEGNO, il mensile dell’Azione Cattolica (n. 10, Ottobre) – 

La notte in cui una tromba d’aria ha interrotto la Veglia della GMG di Madrid, la torre di ferro sulla quale avevano montato gli studi TV ha cominciato a ballare come un filo d’erba. C’è poco da divertirsi quando l’elefante su cui sei seduto inizia ad ancheggiare. Sotto di noi due milioni di giovani, sparpagliati su una radura vastissima e secca; qualunque cosa stesse cadendo dal cielo, pioggia, vento, polvere, li stava prendendo in pieno. Tuttavia neppure uno, letteralmente neppure uno, si stava alzando per andarsene.

Ho guardato il palco e ho cercato il Papa. Benedetto XVI aveva interrotto la lettura del discorso. A chi gli si avvicinava per parlargli, rispondeva con un cenno della testa, ma restando immobile col resto del corpo e con gli occhi. L’attenzione era tutta per i ragazzi sotto l’acqua. Li osservava paternamente. Era catturato dalla prova che aveva davanti. Non se ne vanno, no, non se ne vanno. Pensavamo. Lui sorrideva. Stava ricevendo una prova di solidità, che aveva tutto il sapore di una risposta, un grande eccoci collettivo, per le sfide del tempo che aveva indicato loro: l’essere saldi nella fede, e nella roccia della fede, ridare linfa alle radici cristiane dell’Europa. La nuova generazione chiamata a questo compito sembra esserci. L’ha cresciuta la Chiesa, l’hanno cercata i Pontefici.

Ma quando Joseph Ratzinger aveva l’età dei più grandi della GMG, 35 anni, cominciava il Concilio. E lì c’era lui. Giovane teologo portato a Roma dal cardinale di Colonia Frings, chissà che cosa colpì il suo sguardo. Racconta che fu «un’esperienza particolarissima», condita dalla passione che la «fede tornasse a parlare a questo tempo in modo nuovo». Nel 2012 saranno 50 anni dal Concilio ma la questione è sempre la stessa. D’altro canto anche la crisi economica ha un’origine spirituale, come spiega la Caritas in Veritate, e allora? E allora ecco la Nuova Evangelizzazione, un dicastero fortemente voluto ma anche un Sinodo che significativamente si aprirà nello stesso mese del 50° del Concilio, cioè ottobre 2012.

Ed ecco il Papa, testimone diretto dell’esperienza conciliare, porre le basi per la più grande sfida che la Chiesa avrà davanti nei prossimi decenni: figlia del Concilio e nelle intenzioni madre della rinascita di un Continente oggi piegato e umiliato, ma per un singolare privilegio, da sempre chiamato ad essere faro del mondo. La figura di Joseph Ratzinger si staglia nella storia quale quella di autentico gigante: in questo mese lo attende Assisi, dove, a 25 anni dall’incontro voluto da Giovanni Paolo II, abbraccerà i capi delle religioni del mondo, per dire che il nome di Dio non può essere usato per odiare. E un mese fa era ad Ancona, per il Congresso Eucaristico Nazionale, dove ha difeso i disoccupati e in soli 3 interventi ha scritto un compendio di Vangelo, fatto di amore, fede e giustizia. Nuovo Ambrogio, nuovo Agostino, uomo della Verità, Ratzinger è la guida umile, forte e sorprendente, di questo tempo così difficile.

Rosario Carello