Padre Paolo Dall’Oglio è un gesuita italiano che ha fondato in Siria, tra le pietre del deserto, una comunità diventata un seme per il dialogo con i musulmani.
Mi sono fatto l’idea che quando un giorno ci sarà la pace e i musulmani e il resto del mondo dialogheranno senza più reciproche incomprensioni, quel giorno sarà arrivato anche grazie al lavoro di padre Paolo.
L’ho conosciuto circa due anni fa, è stato ospite di A Sua Immagine (clicca qui per rivedere) e ne ho tratto l’idea di un uomo ricco di ogni talento.
E come accade a queste grandi personalità, è stato completamente sedotto da Dio, per una causa che quando padre Paolo ha iniziato sembrava lontana e secondaria, e oggi invece è centrale: il dialogo con l’Islam.
Ora il regime siriano vorrebbe allontanare padre Paolo e qualche ora fa i soldati sono entrati con le armi nel suo monastero (foto sotto).
Padre Paolo non c’era (era a qualche km di distanza) ma lui è convinto che lo stessero cercando.
Pubblico un articolo di padre Paolo tratto dal sito di Popoli, la rivista internazionale dei Gesuiti e alcuni suoi interventi in programmi Rai.
E prego per lui, per i suoi confratelli in Siria e per la missione che ha avuto affidata.
Questo è il sito del monastero: www.deirmarmusa.org/it
Da Radio 3, 21 maggio 2011, Uomini e Profeti
Da A Sua Immagine, 17 aprile 2010
Da Popoli
«Cercavano me». Paolo Dall’Oglio e l’irruzione nel monastero di Deir Mar Musa
«Dicevano di cercare denaro, armi e il superiore della comunità. Denaro ce n’era poco, armi nessuna e il sottoscritto non lo hanno trovato perché ero a Damasco».
A parlare è Paolo Dall’Oglio, fondatore e superiore della comunità monastica che da anni nel monastero siriano di Deir Mar Musa è attiva nel dialogo tra cristiani e musulmani. Il gesuita è intervenuto telefonicamente ieri sera a Milano in occasione di un incontro promosso (anche) da Popoli sulla drammatica situazione siriana. Voci dell’incontro, oltre a Dall’Oglio, il suo confratello Jihad Youssef, religioso siriano in Italia per gli studi teologici, don Luciano Pozzi, parroco milanese e amico della comunità di Deir Mar Musa, e Francesco Pistocchini, redattore di Popoli.
Gli aggressori erano una trentina, a viso coperto, tranne uno, sono arrivati mercoledì con diversi automezzi, entrando alle spalle dell’edificio e sorprendendo la comunità di monaci e monache che erano in preghiera o al lavoro, come sempre anche durante questi mesi di violenze nel Paese.
Il monastero si trova a 17 km dal centro abitato più vicino e non ha nessuna sorveglianza armata. «Di denaro certamente ce n’è poco, visto che facciamo voto di povertà – ha proseguito Dall’Oglio -. Oltretutto turisti e pellegrini in questo momento non ci sono e il poco che abbiamo serve a noi e ad alcune famiglie che lavorano con noi per sopravvivere. Armi ovviamente non c’erano».
«Uno degli aggressori ha fatto lunghe riprese con un cellulare, hanno voluto perlustrare le stanze e la chiesa. È stato uno shock, ma certamente è andata bene, perché non è stata fatta violenza a nessuno. Ora la comunità sta facendo l’esercizio sofferto di ritrovare la via del dialogo, che è il significato della nostra presenza». Il monastero non ha smesso di essere un luogo aperto a quelli che soffrono e per qualche giorno ha ospitato alcune famiglie fuggite dai bombardamenti a Homs. Resta forte l’inquietudine per un fatto poco chiaro, dato che non si conosce l’identità degli aggressori.
Nel corso della serata, padre Jihad Youssef, oltre a offrire ai presenti la sua riflessione sul significato e sulla missione del monastero nella Siria di oggi, ha anche rivelato di avere sentito parlare di un falso video relativo all’irruzione nel monastero che circolerebbe in rete: «Ma non siamo ancora riusciti a trovarlo, probabilmente occorre cercare con attenzione sui motori di ricerca usando l’arabo».
Ho preso questo articolo da qui
Pieno sostegno a padre Paolo anche se il suo sincretismo religioso non mi piace. In un’intervista (se ricordo bene era per una trasmissione di RAI Storia) dichiarò che il Vaticano lo aveva mandato in Siria per “diventare musulmano”.
Ciao Giovanni. Capisco il tuo disorientamento davanti ad una frase come “diventare musulmano”.
Ma quando ho conosciuto Padre Paolo di questo abbiamo parlato (è una frase che ritorna nel suo discutere) e il suo non è sincretismo: è un modo estremo per dire che è suo dovere immettersi in quella cultura come fosse la sua. Affratellarsi a quel popolo, legarsi a quella gente, a quella lingua, ai loro usi.
Credimi che la sua fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, non è assolutamente in discussione.
Ciao e grazie per il tuo contributo.
Rosario
Preghiamo per Padre Paolo! Un grande uomo, autentico testimone evangelico.