La Rai veste il Cristo di Rio de Janeiro con la cosa più preziosa che abbiamo (la maglietta della Nazionale) e la diocesi di Rio s’offende. Rio contro Rai.
Uno scherzo? No, una bruttissima storia, nella quale la diocesi dice: “Sì, lo spot della TV italiana è offensivo ma in cambio di 7 milioni di euro, l’offesa si sana“. Lo dico da cattolico: questo monetizzare, a nome di Gesù, il lavaggio dell’offesa è quanto di più offensivo questa vicenda ci offra.
Ma cosa ci fanno un vescovo, una diocesi, impelagati in questo mercanteggiamento, “7 milioni sì e la chiudiamo qui, 6 milioni no, è troppo poco”? Questo è il triste terreno degli avvocati, ci campano solo loro in queste vicende, li lasci stare il vescovo, corra via e faccia il vescovo, cioè guardi dall’alto di quella meravigliosa statua del Cristo non solo la sua bellissima città ma osservi tutto il mondo, che guarda – questo è il miracolo – a quel Cristo come un simbolo universale delle cose migliori. La Rai non ha venduto un prodotto (e non ha incassato un centesimo da quello spot), ha solo contestualizzato un evento mondiale e lo ha fatto, in barba ad ogni secolarizzazione, con l’immagine più bella di Rio, che è Gesù.
Ma cosa vuole la diocesi di Rio? Confinare Gesù nelle processioni? Nei riti? Chiuderlo nelle chiese? O lasciare alle Oba Oba e al carnevale il ritratto della città?