Un tempo gli adulti insegnavano le cose migliori ai piccoli. O forse dipende dagli adulti.
Ieri mi domandavo se era possibile evitare una guerra in Libia per combattere l’ISIS. Che da lì minaccia l’Italia.
Per formazione, per scelta, ho sempre sostenuto che ci deve essere un’alternativa alla guerra, ma la strana forma dell’ISIS, che non è uno Stato (anche se si definisce così), non ha organismi diplomatici, non ha confini, se non quelli che si prende con la forza, la stranezza insomma di questa formazione, rende oggettivamente difficile la via diplomatica.
Oggi, ad un’analisi più attenta, possiamo sostenere che non c’è alternativa alla pace.
Ecco le (almeno) 5 buone ragioni per far partire subito, subito, un processo diplomatico e non violento per uscire dalla crisi libica, rischiosissima per noi.
E’ opinione comune di molti osservatori. La presenza di soldati in Libia, anche sotto l’egida ONU, compatterebbe contro, quella galassia informe di milizie di cui oggi è impastato il Paese. L’intervento militare non porterebbe sollievo, aumenterebbe il caos, la violenza, le morti innocenti e l’odio antioccidentale. Ha scritto Lucio Caracciolo, direttore di Limes: “Una campagna militare di crociati e apostati: al-Baghdadi non potrebbe chiedere di più”.
Nel dibattito sulla libertà di stampa seguito alla strage di Parigi, c’è un racconto, a tratti molto divertente, fatto da Giacomo Poretti di Aldo, Giovanni e Giacomo su Avvenire. Ve ne riporto alcuni brani.
Nel lontano 1993, come trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”, subimmo l’unica censura della nostra carriera di comici: partecipavamo alla trasmissione Celito Lindo di Rai3 e nel ruolo dei vecchietti avremmo voluto commentare l’indiscrezione che Sandra Milo avrebbe concepito, come ci si esprimeva allora, un bimbo in provetta all’età di 60 anni; la battuta era questa: «Sai cosa ha detto il bambino quando ha visto per la prima volta Sandra Milo?». «No». «Ciao nonna!». Il responsabile degli autori, Sergio Staino (ovvero Bobo), disse che dovevamo togliere la battuta, altrimenti non saremmo andati in onda. Potevamo forse mettere a repentaglio la nostra carriera perché ad un rigido burocrate della comicità si era ristretto il concetto di ironia?
Quattro anni fa, per il nostro film La banda dei Babbi Natale un’organizzazione di animalisti organizzò una vibrata protesta perché in una scena Giovanni (sempre lui !) prendeva a calci un gatto di peluche. La stessa organizzazione non vide , o non volle vedere, che qualche scena dopo l’attrice Mara Maionchi, nel ruolo di una odiosa suocera, veniva sedata a forza e buttata in un cassonetto. Nessuna organizzazione a difesa delle suocere si è fatta viva. Perché? Conta più un peluche di una suocera? La conosco la risposta dei più, ma è irriferibile, e soprattutto la mia era una domanda retorica rivolta a quelli che hanno il cervello più ottuso di un gatto di peluche.
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Sì, per “I Racconti di Papa Francesco” è arrivato il tempo della traduzione per le Filippine.
E’ la quinta edizione dopo l’inglese, il francese, lo spagnolo e il coreano.
Il titolo scelto è “ABC with Pope Francis. Short Stories and Anecdotes”, (“ABC con Papa Francesco. Piccoli racconti e aneddoti”) e richiama le 80 storie, divise in 80 parole, scritte in ordine alfabetico, tutte vere e tutte con protagonista Papa Francesco che già in Italia sono state un grande successo.
In queste settimane il libro è un’occasione per tanti filippini di conoscere più da vicino il Papa che è andato a trovarli a casa loro.
Riguardano i temi di cui stiamo parlando su questo blog dal giorno dell’attentato in Francia, e cioè la libertà di espressione, i suoi limiti, le provocazioni, la violenza nel nome di Dio.
Leggetele perché sono di una grandissima forza, controcorrente, rispetto alla marea dei #JeSuisCharlie, i cui limiti sto evidenziando su questo blog, con moltissimi di voi, fin dal primo giorno.
Francesco poi cita Papa Benedetto, sulla mentalità per la quale la religione è tollerata ma considerata sottocultura (e basta leggere molti dei 400 commenti al post Ma Charlie è un brutto giornale, per riscontrarla).
E infine fa un esempio straordinario: “Se qualcuno offende la mia mamma, io…”
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