L’unico arresto della Polizia francese dopo le stragi non è un terrorista ma un comico. Ma come? Ma non eravamo tutti Charlie? Non eravamo tutti per la libertà di espressione? Ed ora? Ed ora chi siamo?
Come si concilia tutta la retorica che celebriamo da una settimana sulla libertà d’espressione, e che ha trovato nell’hashtag #jesuischarlie la sua sintesi più mediaticamente perfetta, con l’arresto a Parigi per apologia di terrorismo di un comico, per queste parole scritte domenica su Facebook:
Questa sera, per quanto mi riguarda, mi sento Charlie Coulibaly.
[Charlie come il settimanale ma Coulibaly, come l’attentatore del supermarket kosher, ndR].
CHI E’ IL COMICO
Certo, il comico in questione è Dieudonné, noto da anni per le sue battute provocatorie contro il femminismo, gli omosessuali, gli ebrei. Certo Dieudonné, musulmano, è fastidioso per le teorie complottistiche, è eccessivo, ma è un comico, e sbaglio o da una settimana in tutto il mondo ripetiamo che la provocazione, l’ironia, la satira non sono fucili? E se siamo tutti Charlie, insomma, come facciamo ad arrestare Dieudonné?
Come possiamo cioè riconoscere alla satira di Charlie la patente di gioiosa irresponsabilità e a Dieudonné l’arresto per apologia di terrorismo? Peraltro, ed è davvero ridicolo, se ci fosse da ridere in questa storia che conta morti, l’unico arrestato dalla Polizia francese dopo le stragi, non è un terrorista ma un comico.
Non voglio mettere in contrapposizione Charlie e Dieudonné, gli uni buoni o cattivi e l’altro cattivo o buono. Anzi, al contrario: voglio trovare una sintesi. Ma una sintesi non c’è. Non ce la danno.
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